sabato 6 marzo 2010

LA SFIDA DELLA MEDIAZIONE SOCIO-ISTITUZIONALE

È molto diffusa la mentalità che tende a contrapporre istituzioni e persone. Ma le istituzioni non sono sempre antagoniste della società civile. Le istituzioni meritano la critica ed anzi esse stesse dovrebbero essere capaci di autocritica e autoanalisi. Occorre riconoscere che le istituzioni sono fatte di persone, le quali subiscono le contro-finalità di quelle condizioni di disagio che esse contribuiscono, direttamente o indirettamente, a generare. Nelle istituzioni ci sono dei limiti oggettivi, che vincolano le persone che le rappresentano a dinamiche e logiche determinate. Prima di esaminare le responsabilità bisognerebbe riconoscere queste logiche. I limiti delle istituzioni coincidono esattamente con le possibilità delle persone, in una società dove la legge sancisce il diritto inviolabile della libertà. La società civile, le persone reali che la compongono, devono andare incontro alle istituzioni, alle persone che nelle istituzioni rappresentano i bisogni della collettività, proporre e suggerire loro oltre che idee e progetti innovativi anche piani di analisi della coscienza. Le istituzioni hanno potere sulle persone, reciprocamente le persone hanno potere sulle istituzioni. E ciò non solo rappresentativamente. Le persone possono influire sulle istituzioni, le istituzioni possono-devono confrontarsi con le proposte delle persone. Una critica alle istituzioni è utile solo se non è fine a se stessa; e non è fine a se stessa solo se parallelamente si approfondiscono le questioni e si procede creativamente verso il dialogo e la comprensione reciproca. Del resto, un’azione violenta, di scontro frontale, non apporterebbe benefici né alle istituzioni né alle persone; poiché oggi il mondo è maturo per capire che la violenza non è un mezzo efficace, che i conflitti non devono sfociare necessariamente nella violenza e possono essere trasformati creativamente in situazioni utili alla realizzazione del bene comune. Una mediazione tra persone e istituzioni è possibile. Ma è possibile solo su un terreno comune, nell’ambito di una aspirazione condivisa e condivisibile collettivamente. Una mediazione è possibile se nelle persone e nelle istituzioni si genera la disposizione all’ascolto recproco e alla lettura imparziale dei conflitti e degli antagonismi, la capacità di riconoscere i propri limiti e di sapersi correggere e adattare sulle esigenze degli altri. Una mediazione è possibile se si diventa capaci di riconoscere nei propri bisogni i bisogni di tutti, se si riesce a entrare in una dimensione oggettiva di partecipazione di problematiche e idee, analisi e soluzioni, se si riesce a realizzare una forma di comunicazione reciproca. In teoria tutto ciò può sembrare facile da realizzarsi. In realtà si tratta di un compito arduo e complicato. Una mediazione sociale ed istituzionale implica una formazione alla democrazia partecipata e generalizzata; una concentrazione di energie, volontà, idee, risorse fisiche e spirituali verso un obiettivo comune, degli scopi comuni. Siamo nella sfera della trasformazione dei conflitti, la quale rientra nella storia della risoluzione nonviolenta dei conflitti. Una mediazione nei Quartieri Settecenteschi è possibile solo se si creano le condizioni di un confronto pacifico, il quale comprende: analisi, autoanalisi, capacità di ascolto reciproco, disponibilità alla cooperazione disinteressata, umiltà. Questi gli aspetti umani, ai quali bisogna aggiungere quelli più tecnici e specialistici. Occorre un approccio multidimensionale, un’azione concertata interumana e interdisciplinare, una strategia di cooperazione che vada oltre i limiti solitamente accettati (ed espressi, ad esempio, in battute tipo: “non ci sono risorse”, “la gente non collabora”, “le istituzioni sono corrotte”), che tenga conto delle peculiarità del territorio e del contesto in cui si agisce, e si misuri con le azioni di democrazia partecipata e concertazioni socio-istituzionali realizzate in altri luoghi. Ogni giorno è un’occasione per avanzare in questo progetto sociale di cui la comunità foggiana, come molte altre comunità umane, ha urgente bisogno. Ogni giorno dobbiamo interrogarci sui nostri problemi e le nostre contraddizioni, confrontarci con la consapevolezza che i problemi e i bisogni reali di ciascuno sono i medesimi di tutti. Ogni giorno dobbiamo cercare di spezzare quell’inerzia verso cui le logiche e le necessità sociali spesso ci conducono. La vita è un’esperienza unica. Ancora più unica diventa se la consapevolezza della sofferenza individuale si fa collettiva, se nel dolore e nella gioia si esce dall’individualismo ma anche dal gruppo di appartenenza, dalla terra d’origine, per porsi in una dimensione umana più ampia e universale, dove l’agire e volere di ognuno sia agire e volere di tutti.

Antonio Fiscarelli
tratto dall'opuscolo "Quartieri Settecenteschi. Un problema, un approccio, una speranza."


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