Sostenere iniziative pubbliche e private volte alla tutela, valorizzazione e fruizione del patrimonio culturale sotterraneo. Questo il lungimirante proposito del Consorzio Giù la testa (Sertur Consulting s.r.l, Cooperativa Sociale Scurpiddu, Studio Stasolla, Centro Studi "Giovanni Scillitani", Associazione di artisti POCS-Project for Open and Closed Space Scultpure Association, Prometeo-Agenzia Formativa), un gruppo di soggetti privati formatosi a Foggia per dare continuità all’omonimo evento culturale “Giù la testa. Foggia Sotterranea” realizzato negli anni 2008 e 2009.
Lo scorso 3 Novembre 2010 nel corso della Conferenza Stampa tenutasi all’aperto, nello spazio antistante il Bar 2000, il suddetto Consorzio ha presentato alla cittadinanza il progetto “La memoria perduta, la memoria ritrovata. Indagini e scavi nell’Ipogeo in Piazza De Santis – Foggia”. L’iniziativa mira al rinvenimento ed allo studio di elementi concreti utili ad una ricomposizione delle vicende storiche risalenti alle origini della città.
Le indagini archeologiche, già in corso, si realizzeranno sotto la direzione scientifica del Dipartimento di Scienze Umane dell’Ateneo dauno e riguarderanno, appunto, l’ambiente sotterraneo rinvenuto già negli anni 30 sotto Piazza De Santis.
Progetto ambizioso e innovativo nelle sue modalità partecipative, come emerge dal programma delle attività di indagine, sensibilizzazione ed animazione sociale, che faranno da cornice ai 20 giorni di scavo nel sottosuolo, presentato durante la conferenza.
L’ordinario scavo archeologico circoscritto ai soli addetti ai lavori si trasformerà in un originale cantiere aperto e comunicante, rappresentato da una struttura a forma di cubo che fungerà da elemento catalizzatore della partecipazione dei cittadini.
Questi ultimi, infatti, attraverso un’interfaccia video collocata su una facciata del cubo, potranno calarsi virtualmente nell’ambiente ipogeico insieme agli archeologi e monitorare in diretta, giorno dopo giorno, le fasi dello scavo.
Il sapere tecnico-scientifico si intreccerà con il sapere popolare.
La Cooperativa Sociale Scurpiddu, infatti, durante le indagini nel sottosuolo, realizzerà un sondaggio di opinioni rivolto agli abitanti per raccogliere conoscenze pregresse, aspettative ed anedotti legati al misterioso mondo ipogeico, con il contributo attivo delle attività commerciali limitrofe al cantiere, coinvolte nel progetto quali soggetti promotori di canali partecipativi.
Gli operatori del G.A.A.S. e della Cooperativa Scurpiddu realizzeranno, inoltre, laboratori di costruzione pop up incentrati sul tema degli ipogei urbani, che vedranno il coinvolgimento dei bambini delle tre Scuole Elementari del Centro Storico: Santa Chiara, Pascoli e Parisi.
A rallegrare le tre settimane di cantiere, intorno al cubo graviterà il mitico “scazzamurill”, il simpatico e temuto spiritello domestico che da tempi ancestrali abita l’immaginario popolare locale, il quale ci condurrà mano per mano fino all’evento finale, atteso a conclusione dei lavori di indagine.
Non ci resta che aspettare e seguire il corso degli eventi, raccolti intorno al “cubo parlante”, come si faceva un tempo intorno al fuoco domestico, a raccontare e raccogliere storie, presagi e rinvenimenti.
Non sappiamo cosa emergerà dallo scavo ma di certo, in questo viaggio di scoperta, sotto strati di terra e macerie, ritroveremo lei, Fovea, la bella principessa imbrigliata in secolari trame rupestri, che dorme immemore nelle viscere della terra.
Chiunque volesse far visita allo scavo in Piazza De Santis, è invitato a compilare il questionario di indagine sociale, magari sorseggiando un buon caffè, presso l’adiacente Bar 2000.
Di seguito riportiamo la favola ideata per l’occasione dalla Cooperativa Sociale Scurpiddu intitolata “Fovea e la città incubata”. Buona lettura!
LA FAVOLA DI FOVEA E LA CITTA INCUBATA
C’era una volta, tanti e tanti strati fa, in un tempo profondo, un piccolissimo villaggio fangoso e paludoso denominato Pantania che si ergeva fiero su uno specchio d’acqua dalle rive basse e acquitrinose. Il luogo era pressoché deserto, allietato soltanto da una grande quercia e da qualche bue che andava ad abbeverarsi lungo il bacino imbrifero.
In questo estuario fangoso viveva sperduta una bellissima fanciulla di nome Fovea. Aveva lunghi e folti capelli biondi come immensi campi di grano, la pelle scura come la terra e gli occhi verdi e luccicanti come erba bagnata di rugiada. Ogni alba ed ogni tramonto si domandava da dove venisse e se esistessero altri luoghi, altre vite, al di là dell’orizzonte e della sua angusta oasi. Con la testa pesante ed inclinata all’ingiù come anfora traboccante d’acqua, si sedeva lungo la riva dello stagno e lasciava cadere le sue lacrime sull’arido terreno. Pianse così tanto che anno dopo anno, goccia dopo goccia, attorno a lei si formarono laghi e fiumi circondati da boschi, uliveti e fitti canneti. Ma Fovea era sempre più triste perché non poteva condividere con nessuno le bellezze del suo regno solitario, sempre così immobile ed uguale a se stesso.
Un giorno come tanti, mentre la fanciulla si contemplava nelle acque dell’antico ruscelletto, la bocca melmosa del pantano si allargò e con voce cavernosa le disse: “Sei bella come ninfea selvaggia, galleggi immacolata sopra le mie acque senza mai infangarti. Ma dentro sei come un giardino serrato che nessuno ha mai visitato .” La ragazza sobbalzò, quasi fosse stata punta al cuore da uno spillo.
“Ma tu chi sei che dalle acque torbide scruti nei miei più segreti pensieri?” disse sbigottita.
“Sono l’oracolo dell’acqua, sacro liquido primordiale da cui tutto si origina, vivo nelle profondità del pantano, nell’eterna tensione di specchiare immagini dentro di me per scrutarne gli abissi. Per molti anni ho osservato la tua immagine riflessa nel mio specchio d’acqua e conosco ogni ombra e ruga della tua fronte accigliata. Fammi una domanda e ti risponderò “ disse la bocca della verità, conoscendo già i pensieri della fanciulla.
Fovea abbassò i suoi occhi mesti. Ci pensò qualche secondo e con un ritrovato sorriso affermò: “Tu che prevedi l’avvenire degli uomini, dimmi, sono forse destinata a vivere per sempre in questo eremo solitario, lontana dai miei simili? Conoscerò mai il volto dei miei avi, le mie origini, ciò che esiste al di fuori di questo tempo immobile e di questo spazio recintato? “
“Mia cara” rispose l’oracolo nel suo linguaggio criptico, sorridendo briosa dietro il velo dell’acqua “Ho atteso per tutti questi anni che tu mi ponessi queste domande. Adesso sei finalmente matura e pronta per cominciare il tuo viaggio di scoperta. Risponderò alle tue domande una ad una ma voglio che tu mi ascolti con attenzione.” E così dicendo le sue acque si fecero più limpide. Le dita affusolate di Fovea sfiorarono inconsapevolmente la sua fronte sempre più corrucciata. “Viaggio? Ma io non voglio viaggiare, voglio solo delle risposte” pensò Fovea seccata, emettendo un lieve sbuffo.
“Il passato è un’antica e pregiata scatola chiusa, seppellita sotto strati e strati di polvere. Soltanto tu puoi scavare e riprenderti il tuo passato. Se riuscirai ad aprire la scatola, libererai e scoprirai il tuo futuro…il nostro futuro… ” continuò l’oracolo pronunciando frasi sempre più misteriose. “Sappi però che il tempo è una spirale lungo la quale passato e futuro sono intrecciati indissolubilmente. Lungo la spirale temporale gli strati circolari si allontano e si avvicinano come in una danza avvolgente ed ipnotica che ad ogni giro conduce avanti ed indietro, giù e sù.“ Fovea si fece pensierosa. “ Forse sarebbe stato meglio non fare domande e restare qui sola nel mio piccolo mondo familiare. L’oracolo si esprime in un modo per me incomprensibile” pensò tra sé e sé la fanciulla.
“Avvicinati” proseguì l’oracolo assottigliando la voce “lascia che ti sveli un altro segreto. Il tuo orizzonte è limitato dai muri che tu hai costruito intorno a te. E’ per questo che non riesci a vedere oltre. Il tuo universo apparentemente piatto in realtà è curvo. In questa landa desolata tempo e spazio si sono mescolati ed hanno dato vita ad una città concentrica avvolta su se stessa dentro un grande cubo. Come serpente raggomitolato dentro un cesto che attende il suo pifferaio per emergere sinuoso dal fondo, allo stesso modo Pantania è una successione temporale e stratificata di città diverse arrotolate l’una dentro l’altra, una città incubata in attesa di qualcuno che la tiri fuori dal suo universo incastonato di scatole cinesi. La città futura si srotola e si distende nel passato. Solo tu puoi tirarci fuori di qui. Abbiamo bisogno l’una dell’altra.” Poi, increspandosi, aggiunse “Se non verranno volti nuovi a rispecchiarsi nelle mie acque, mi prosciugherò per sempre ”.
“Pensavo volessi aiutarmi a ritrovare il mio passato, invece sei tu che hai bisogno del mio aiuto.”disse Fovea in lacrime, vedendo sfumare i suoi sogni come acqua evaporata dopo la pioggia.
“Non piangere piccola mia, lascia che ti spieghi!” esclamò l’oracolo con tono dolce e rassicurante, quasi materno.
“No, non voglio più ascoltarti. E poi, se vuoi saperlo, non riesco proprio a capire ciò che dici, parli in modo così strano” si lasciò sfuggire la fanciulla in preda alla rabbia.
“ Non devi capire tutto adesso. La risposta alle tue domande l’avrai solo quando sarai arrivata in cima alla spirale. Ma prima di partire, siediti vicino a me. Lascia che ti racconti una storia” , annunciò l’oracolo, “Tante lune fa, questa terra era un regno rigoglioso, crocevia di ricchi mercanti, pullulante di facoltosi agricoltori e nobili famiglie che vivevano in palazzi sontuosi. Il suo nome era Federicia. Ma quel periodo d’oro non durò a lungo, purtroppo. Guerre, saccheggi, epidemie, terremoti distrussero buona parte dei suoi edifici e delle sue bellezze, al punto che gli abitanti sopravvissuti a queste sventure si convinsero che su di loro incombeva una terribile maledizione. Consultarono le masciare della zona che conoscevano formule magiche incomprensibili, adottarono le più disparate misure protettive allo scopo di difendersi. Riponevano forbici con le punte aperte o scope capovolte davanti all’uscio di casa, appendevano alle pareti delle loro abitazioni oggetti d’oro a forma di ferro di cavallo, gettavano il sale davanti alla porta per allontanare gli spiriti maligni. C’era anche chi indossava collane di mascelle di riccio o chi si ingraziava l’uria della casa proferendo ogni giorno lodi alle loro malridotte abitazioni. Ma a nulla valse tanto da farsi. Il regno continuava a subire razzie e scorribande senza tregua”. Fovea era rapita dal racconto dell’oracolo. Finalmente qualcuno le parlava delle sue origini lontane. Presa da un moto ansioso di curiosità, interruppe bruscamente l’oracolo e domandò :“Ma allora è andato tutto distrutto? Non esiste più nulla del regno dei miei avi?” . “Abbi pazienza Fovea” , replicò l’oracolo, “ non ho ancora terminato la storia” . E così dicendo, proseguì: “Un giorno passò di lì un forestiero, uno strambo architetto che, venuto a conoscenza dei terribili avvenimenti che avevano colpito il regno di Federicia, annunciò agli abitanti di essere certo di avere la soluzione ai loro mali. Mostrò loro un grande cubo di color marrone rugginoso, dello stesso colore della terra. Disse loro che l’unico modo per salvarsi era rifugiarsi dentro la sua massiccia costruzione cubica e aggiunse che, di certo, lì dentro il male non vi sarebbe più penetrato. Gli abitanti disperati gli credettero ma non sapevano che quello che pensavano fosse un maleficio era soltanto opera dell’uomo e della natura mentre quello che credevano fosse la loro salvezza era in realtà un vero incantesimo che lo strano architetto venuto da lontano aveva lanciato loro, invidioso delle bellezze della città. Da allora il tempo si è fermato e gli abitanti di quell’antico regno, come racchiusi dentro lo scrigno di un vecchio carillon, continuano a girare e girare su una giostra di cavalli e carrozze, in un moto eternamente statico. Il tempo ha inghiottito tutto e tutti come un enorme buco nero, ricoprendo di polvere la città incubata, sulla quale poi sono sorte altre città. Ma nessuno sa che sotto, nelle viscere della terra, pulsa ancora la città nascosta che chiama e pretende di essere scoperta. Solo tu lo sai, adesso ” .
-“Ma ci deve essere un modo per sciogliere l’incantesimo!” – esclamò concitata la fanciulla.
-“Si scioglierà solo quando qualcuno entrerà dentro il cubo magico a visitare la città incantata e, ripercorrendo strato dopo strato la spirale del tempo, riuscirà ad aprire dal di dentro la scatola cubica, dissolvendo la barriera che separa il dentro dal fuori. E’ l’unico modo per liberare il futuro della città. Solo allora la città di dentro e la città di fuori capiranno di avere un corpo unico ed un’anima sola. Cerca di capirmi Fovea. La tua felicità dipende da questo viaggio. Liberando la città di sotto libererai te stessa. Questo luogo è anonimo e desolato perché ha perso la sua anima, perché tu hai smesso di cercarla e ti sei accontentata della sua superficie piana. Sotto la pelle della città, invece, c’è tutto un mondo celato fatto di ombre e silenzi, di tesori nascosti e pozzi profondi .” Fece una breve pausa e poi proseguì “Lì sotto c’è la tua anima ”.
“Adesso capisco” disse Fovea abbassando gli occhi, quasi a cercare un angolo in cui pensare, fissando sciami di formiche uscire ed entrare freneticamente da un buco scavato nel terreno. “Sono pronta per cominciare il viaggio” aggiunse convinta.
“Bene. Sappi però che all’inizio ti sembrerà di girare a vuoto, di tornare indietro, ma sarà proprio dalla discesa che riprenderai la forza necessaria per affrontare il tornante successivo. Ad ogni giro ti capiterà di vedere le stesse cose ma ad un livello diverso, più ampie e mature. Man mano che salirai l’orizzonte della tua percezione si amplierà e vedrai ciò che al momento non riesci a vedere”, disse l’oracolo, continuando “Adesso ti pongo io una domanda: sei pronta ad accettare il cambiamento?”. Fovea fece cenno di si con la testa. Nei suoi occhi umidi adesso vibravano tremule fiammelle ad illuminarle il volto. L’oracolo dell’acqua si fece d’un tratto silenzioso, poi spalancò la sua bocca torbida e risucchiò la fanciulla, spingendola nelle profondità delle acque pantanose.
Dopo una vertiginosa discesa lungo le vene sotterranee della città, giunse fino all’ estremità della spirale, perdendosi in un labirinto di grotte, tratturi, cunicoli, stretti corridoi e passaggi segreti che conducevano a stalle, case rupestri, botteghe di artigiani, fosse granaie, palazzi sontuosi con giardini, scuderie, fontane e vasche ricolme di pesci. Conobbe briganti, caprai, carrettieri, maniscalchi, sellai e scopari e poi ancora principi, cavalieri e nobildonne…ma questa è un’altra storia. Fovea continuava a scendere e salire, a percorrere semicerchi e scale a chiocciola senza sosta. Mondi nuovi nascevano lungo le linee ascendenti della spirale e sparivano un attimo dopo lungo le linee discendenti, per poi riapparire più ampi e rinnovati al giro successivo. Era salita su una sorta di giostra o di altalena che pareva non fermarsi mai. Ad un certo punto, con grande sorpresa, si accorse che stava risalendo. Da quanto tempo vagava in quell’universo umido e buio, patinato di polvere e muffa? Forse 20 giorni o 4 secoli o solo pochi secondi…non le importava. Adesso, giunta finalmente al vertice della spirale, vedeva le cose dall’alto, da una prospettiva diversa. Tutto si faceva più chiaro. D’un tratto alzò gli occhi ed intravide una luce entrare da una fessura. Si arrampicò lungo una scala di corda che conduceva ad una botola quadrangolare. Allungò le mani sopra di sé e facendo forza con la testa e le spalle riuscì a sollevare il coperchio che, cigolando, si aprì ricadendo all’indietro. La fanciulla non credeva ai suoi occhi. Si sporse a mezzo busto dalla botola, guardandosi intorno sbalordita. Era ritornata al punto di partenza, vicino la vecchia quercia e al ruscelletto melmoso. Non si era mai mossa di lì in realtà, ciò che era cambiato era solo l’angolazione da cui osservava il mondo. Capì che le cose esistono a più livelli contemporaneamente, che la realtà visibile nasconde dentro di sé altre dimensioni che si rincorrono come dentro un gioco di specchi al cubo.
L’incantesimo che incatenava la fanciulla e gli abitanti del regno invisibile era finalmente spezzato. Il tempo riprese a scorrere e Fovea non era più sola. L’antico e il nuovo convivevano fianco a fianco, diramandosi orizzontalmente e verticalmente, mescolandosi e fondendosi per poi ricomparire in sempre nuove fogge.
Gli abitanti della nuova città unificata la ribattezzarono “Foggia” per via della sua camaleontica capacità di rigenerarsi, plasmarsi e assumere nuove e imprevedibili forme a seconda del punto da cui la si guardava.
Quel giorno vi fu una grande festa, un continuo saliscendi di gente che si spostava dal mondo di sotto a quello di sopra e viceversa. C’è chi dice che Fovea scelse come sua dimora il palazzo di un principe che aveva conosciuto nel suo viaggio sotterraneo.
Oggi, a vederla da quassù, Foggia sembrerebbe un’unica lunga linea piatta lastricata di mattoni. Ma cambiando angolazione, abbassando appena appena il capo in giù ed accostando l’orecchio al suolo, c’è chi giura di aver udito voci festose, rintocchi di campane e scalpitio di cavalli provenire dalle più profonde cavità della terra.
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